La gru romana, realizzata completamente in legno, era utilizzata da ditte specializzate nel sollevamento di materiali, aveva la possibilità, a costruzione ultimata, di posizionare oggetti a varie altezze. Trainata da buoi per mezzo dei due grossi cilindri, i quali fungevano da ruote durante il trasporto (fig.1) e da propulsore durante il sollevamento. I cilindri erano sufficientemente grandi da poter ospitare un certo numero di persone che, camminando all’interno di essi, imprimevano la rotazione al perno principale: qui era fissata la fune di sollevamento, sostituita all’occorrenza da quella necessaria al movimento del braccio. Uno dei più grossi problemi affrontati durante la sperimentazione è stato quello di portare il braccio della gru dalla posizione orizzontale (di trasporto) a quella verticale (operativa). Si è risolto il problema con l’ausilio di un grosso palo dotato di un cilindro libero, interposto fra il terreno e la fune (fig.3 -4).
Sollevato il braccio, fissatolo nel modo occorrente e sistemata la fune di tiro, si procedeva al sollevamento dell’oggetto (fig.5). Raggiunta l’altezza desiderata, si allentavano le funi di sicurezza lasciando basculare il braccio in avanti, così da portare l’oggetto sulla verticale della posizione definitiva, nella quale veniva poi calato. Risulta ovvia la presenza di notevoli problematiche riguardanti la sicurezza verso gli operatori, ma soprattutto verso le costruzioni vicine.
Si presume che tutti gli operatori fossero addestrati e diretti da un solo responsabile, il quale predisponeva sia il posizionamento della gru che tutte le accortezze necessarie ad evitare la caduta della stessa o lo srotolamento accidentale della fune.
La gru da noi descritta è l’interpretazione di un bassorilievo tratto dalla cosiddetta Tomba degli Haterii del I° sec. D.C. conservato presso il Museo Gregoriano in Vaticano e corrisponde in parte a quella decritta da Vitruvio nel X° libro del De Architectura
Sergio Iacomoni